Questa mattina siamo partiti da Al Arish verso Rafah. La prima cosa che si nota, avvicinandosi, è che la fila dei camion di aiuti umanitari in attesa di entrare è infinitamente più corta rispetto alle file di chilometri che avevamo visto l’anno scorso.
La motivazione è che, mentre lo scorso anno potevano entrare, se pur a piccolissime dosi, quest’anno il valico è stato chiuso. E, con il blocco totale imposto da Netanyahu, da 70 giorni non è più entrato alcun aiuto umanitario.
Arriviamo alla porta di Rafah e subito sentiamo il rumore dei bombardamenti che, questa mattina, stanno colpendo Khan Younis. Sentiamo le bombe cadere a pochi chilometri da dove ci troviamo, forti e vicine e solo quelle cadute nella notte hanno causato la morte di 125 civili a Gaza.
Incontriamo il rappresentante della Mezzaluna Rossa egiziana, che ci conferma che dall’inizio di marzo non è più entrato nemmeno un chilo di farina, né è uscito un solo bambino malato per farsi curare negli ospedali del Cairo.
Durante l’ora in cui siamo rimasti, il rumore dei bombardamenti è stato costante.
Siamo poi andati a visitare due siti di stoccaggio che raccolgono sia il materiale che non può entrare a Gaza a causa del blocco, sia quello rigettato dal governo israeliano. I due siti, rispettivamente di 50.000 e 80.000 metri quadrati, sono già pieni. La Mezzaluna Rossa, rispetto allo scorso anno, ha compiuto un grande lavoro, dotandosi di aree frigorifere per conservare farmaci, vaccini e altri materiali sensibili.
Tra le merci rigettate da Israele ci sono respiratori, sedie a rotelle, filtri per purificare l’acqua contaminata, generatori elettrici. Persino i sacchi a pelo sono stati rifiutati perché di colore verde militare.
Il referente della Mezzaluna Rossa, alla fine, si è rivolto a noi dicendo: “gli oggetti rifiutati vi possono sembrare pochi rispetto ai bisogni di due milioni di persone (anche se si tratta comunque di interi capannoni pieni di pallet), ma sono gli oggetti fondamentali per far funzionare tutto il resto.”
Abbiamo infine avuto un incontro con i rappresentanti della Mezzaluna Rossa, di OCHA e dell’UNRWA, che ci hanno descritto una situazione di estrema difficoltà, anche per i loro stessi operatori (quelli dell’UNRWA sono oltre 10.000) che sono rimasti a Gaza, tra fame e bombardamenti, a rischio costante della vita.
Nella nostra dimostrazione alla porta di Rafah abbiamo chiesto all'Europa e all'Italia di non essere più complici, perché l'assenza di azioni concrete e' complicità con lo sterminio, che va fermato. Ora.
